mercoledì 16 settembre 2009

Dal dot-com al dot-communism

Alla fine degli anni '90, John Barlow, intuendo le potenzialità del web 2.0 e preannunciando

il potere che avrebbe acquisito, di lì a poco, l'utente, definì con il termine dot-communism “una

forza lavoro completamente gratuita”. I singoli utenti, pian piano, stavano conquistando

consapevolezza e spazio d'azione, aggregandosi in quella massiccia community on line, anche detta:

popolo di Internet.

In un interessante articolo comparso di recente su Wired

(http://www.wired.com/culture/culturereviews/magazine/17-06/nep_newsocialism) ci si è chiesti fin

dove si stiano spingendo i confini della condivisione, nel tentativo di capire se effettivamente siamo

di fronte ad una nuova versione del concetto di socialismo.

Ma fino a che punto è giusto parlare di socialismo digitale? È chiaro che non si tratta di un

socialismo inteso nella sua accezione ideologica, quanto piuttosto di tecniche, atteggiamenti,

strumenti che stimolano attività di collaborazione, condivisione e coordinazione tra i membri della

community di internet. Queste nuove forme di cooperazione sociale, certamente sono riconducibili

ad una cultura collettivista, ma assumono delle caratteristiche proprie legate all'accesso e alla

fruizione del web.

La proliferazione di metodi partecipativi come blog, forum di discussione, wiki e social

network stimolano il desiderio di condivisione che emerge tra le neo-tribù telematiche che popolano

la rete. Non si tratta solo di nostalgia per la riscoperta di momenti di comunitarismo, piuttosto ci

troviamo di fronte alla voglia di superare quell'individualismo che ha caratterizzato la fine dello

scorso millennio. L'emergere di queste “tribù della Rete” dimostra come si affermi anche il bisogno

dell'individuo di aggregarsi e collaborare per dare vita a progetti sviluppati gratuitamente e ad una

vera e propria tecnologia sociale collaborativa. La forza del socialismo on-line sta aumentando,

basta pensare a Youtube con i suoi 350 milioni di visitatori al mese, i 160 mila di Wikipedia e i 35

milioni di utenti attivi di Flickr. Nell'era del digitale, il momento della condivisione sembra essere

ormai numericamente fuori controllo: si moltiplicano in maniera esponenziale i post di foto e video

e gli aggiornamenti di stati personali. Il successivo stadio è quello della cooperazione, che avviene

ad esempio quando si posta una foto che viene in seguito taggata da altri. In linea con l'idea di

socialismo “tradizionale”, gli individui lavorano insieme e traggono i risultati a livello di gruppo e

non più di singolo. Dalla cooperazione si passa, quindi, alla collaborazione organizzata. Ultimo

passaggio è quello del collettivismo, il più difficile a cui aspirare, perché lo scopo di un collettivo è

quello di edificare un sistema in cui i singoli si assumono la responsabilità dei processi critici,

mentre le decisioni difficili vengono prese da tutti i partecipanti; questo è quello che avviene in

Wikipedia, per esempio, dove milioni di scrittori contribuiscono ad arricchirla, ma un numero

inferiore di editori, circa 1.500, è responsabile della maggior parte dell’editing.

Ma quanto durerà uno spazio collaborativo e quasi interamente gratuito come la rete?

In questo panorama così frammentato c'è chi sostiene che il futuro è una società non

capitalistica e open-source in cui la condivisione di informazioni e di files porterà all'edificazione di

un vero e proprio sistema collettivo, perché come affermato da Wired “il potere della condivisione,

della cooperazione, della collaborazione, dell'apertura, del libero prezzo e della trasparenza si sono

dimostrati più pragmatici” di quanto si pensasse.

Altri, invece, sospettano che in un decennio le cose potrebbero cambiare radicalmente, giungendo

fino ad un modello ibrido che conterrà pochissimi materiali ancora gratuiti. In un articolo comparso

sul Wall Street Journal (http://online.wsj.com/article/SB124701229573408977.html) Chris

Anderson, editore del Wired magazine, sostiene che, in futuro, il gratuito non sarà più abbastanza e

che si troveranno nuove forme per adattare Internet alle necessità del mercato.

Sarà interessante vedere come evolverà il web 2.0 –etichetta ormai obsoleta- e quali

problematiche ci troveremo ad affrontare; per il momento la rete è ancora quel territorio franco in

cui lo spirito volontaristico è forte e in costante aumento.


Tina Santoro

Radioradicale.it

membro di Agorà Digitale

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